Hamid Reza Yousefi:

Teoria e pratica della tolleranza

(Traduzione di Marion Weerning in collaborazione con Mariano Mondello
della relazione tenuta da Hamid Reza Yousefi a Trapani, 27.1.2006)

1. Egregi signori,

La prima e la seconda guerra mondiale e la persecuzione degli ebrei in Europa sono una parte della nostra storia che è contrassegnata di sofferenza e di dolore e che non possiamo e non dobbiamo rimuovere. Per costruire insieme il futuro dobbiamo tenere questi dati di fatto sempre ben presenti nelle nostre coscienze - e trarre le conseguenze AFFINCHE' NON SUCCEDA MAI PIU'.

Ma anche sul nostro presente è gettata l'ombra di un'onda di intolleranza, sul piano intraculturale e sul piano interculturale: E' preoccupante che la politica us-americana persegua una conversione del mondo nel nome della democrazia e dell'umanità. A rigore di termini, democrazia non significa la libertà della volpe nel pollaio.

Mentre nel proprio paese si predica la tutela dei diritti umani e della tolleranza, fuori dai propri confini si calpestano con i piedi questi diritti. Fuori dai propri confini si parla di "guerra giusta" o di contrasti come "La lotta del bene contro il male". La guerra dell'Iraq è contro i vigenti diritti internazionali. E' un esempio per il fatto che potere e dominanza economica definiscono la lingua della pace in modo operativo. Che l'altro potrebbe forse avere ragione non viene neanche messo in discussione. Si conduce un discorso di calunnia e di maledizione contro dittature come quella di Saddam Hussein. Ma nello stesso tempo non si fa quasi nessun riferimento al fatto che Saddam Hussein ha ricevuto dagli Stati Uniti i suoi missili e dall'Europa le sue armi chimiche da impegnare nella guerra fra Iran e Iraq che è durata 8 anni ... e che è costata la vita a 2 milioni di persone.

Anche nell' Europa illuminata si vede in modo sempre più evidente che nei confronti di minoranze non esiste una strada percorribile che possa contribuire alla pace interculturale e interreligiosa. Tutto viene sistemato dall'alto in basso, a cominciare dalla tutela dei diritti umani fino alle condizioni quadro del dialogo.

2. Di che cosa parlerò nella mia relazione?

Dalla situazione nell'era attuale nasce il desiderio stringente di riflettere su nuove strade da percorrere. Per fare ciò bisogna, per prima cosa, rivedere e rielaborare il passato in modo spietato e senza clemenza. La storia non è un prodotto statico ma viene disegnato da uomini che sono, essi stessi, attori di questa storia. Lo fanno per capire il proprio sviluppo ma anche per legittimare passi da compiere in futuro. La nostra generazione non può ricordarsi di ciò che è accaduto; solo per la nostra età non abbiamo vissuto il periodo fascista. Ma noi possiamo, sì, informarci nel modo più oggettivo possibile di quel capitolo buio della storia.

D'altra parte dobbiamo occuparci di tolleranza e dialogo affinché i monologhi fatti sinora possano diventare dialoghi. La base imprescindibile del dialogo è la tolleranza. Occuparsi di tolleranza presuppone, ancora, occuparsi della storia della tolleranza e come si è sviluppata durante i secoli.

3. Com'è il rapporto dell'Occidente verso le culture extra-europee?

Se facciamo passare davanti ai nostri occhi la storia europea, si delinea una storiografia unilaterale con un'argomentazione unilaterale. E' un fatto che il rapporto di scienziati europei verso culture, religioni e filosofie diverse - a partire dai greci, attraverso Dante, Tommaso d'Aquino, Lutero, Kant, Hegel fino a Heidegger - era sempre unilaterale, e lo è tutt'ora. In Europa si parte da una sola ragione e una sola razionalità, e in più c'è la pretesa, della quale si è convinti con veemenza, che esiste solo una verità, una verità assoluta.

3.1. Da quando regna un'idea negativa del diverso in Europa?

Le testimonianze dei greci fanno parte delle prime prove di xenofobia. Eschilo chiamava i persiani "barbari" e "diavoli col pizzo" senza fare onore ai livelli culturali e sociali che i persiani avevano raggiunto. Il re Ciro rappresenta un esempio paradigmatico di tolleranza. E' a lui che gli ebrei devono la liberazione dalla prigionia Babilonese: E' stato lui a rimandarli indietro a Gerusalemme per ricostruire il tempio distrutto. Di fatti, il vecchio testamento, di conseguenza, fa lodi sperticate di Ciro come messia e salvatore. Inoltre un cilindro con caratteri cuneiformi, trovato nel 1879 a Babilonia e attribuito proprio a Ciro, viene considerato la prima "carta dei diritti umani".

3.2. La xenofobia si trasforma nel medioevo?

Neanche il cristianesimo ha portato ad un miglioramento della coesistenza interumana; questo è dovuto all'inasprimento della pretesa esclusiva di possedere la verità assoluta che ha trovato il suo ingresso anche nella vita non religiosa. Il problema principale connesso a questa pretesa sta nella massima di considerare per verità esclusiva solo la propria idea, la propria opinione politica o la propria religione. Avendo a che fare con questo stato di cose, non si dice più: questa è la mia idea, la mia opinione politica o la mia religione, ma: questa è la idea, la opinione politica o la religione. La conseguenza di tali capovolgimenti è intolleranza accompagnata da violenza pratica . Anche l'idea della purezza totale della razza è apparsa insieme ad una pretesa di assolutezza e ha portato quasi allo sterminio di un intero popolo.

3.2.1. Cosa si sentiva dire nel medioevo cristiano?

Il teologo Petrus Venerabilis era particolarmente maldisposto nei confronti dell'islam. La sua intenzione era quella di (citazione) "liberare gli arabi dal virus mortale dell'islam".

Anche per Tommaso d'Aquino ebrei e pagani erano coloro che (citazione) "non hanno mai preso la fede." D'Aquino chiedeva l'esclusione dalla chiesa e la pena di morte per gli eretici.

Dante Alighieri, nella sua "Divina Commedia", metteva Maometto nell'inferno e Ibn Sina nel limbo.

All'inizio della modernità Martin Lutero incitava all'annientamento degli ebrei. (Citazione:) "Che si incendi la loro sinagoga o scuola col fuoco e si copra e ricopra tutto ciò che non vuole bruciare con terra, di modo che nessun uomo non veda più in eterno nessuna pietra." Julius Streicher, editore della rivista "Der Stürmer" che istigava contro gli ebrei, si appellava nel processo penale contro di lui in modo esplicito alle parole di Lutero. Il risultato di un tale fanatismo e odio etnico era la persecuzione e l'uccisione nelle camere a gas di milioni di ebrei innocenti.

Anche Nicola Cusano, che viene considerato in Europa l'incarnazione della tolleranza per eccellenza, era, in ultima conseguenza, intollerante. Per confutare l'islam, Cusano scrisse l'opera "Cribatio Alkorani". Il suo obiettivo era (citazione) di "salvare i musulmani dalla loro ignoranza che è nata dalla cattiva intenzione di Maometto." E si noti bene: Cusano ha scritto questo libro 10 anni dopo "De pace fidei" nella quale parla di "una religio in rituum varietate".

3.2. Aveva la filosofia europea un'idea migliore del diverso?

Chi pensa che la filosofia avesse un'idea più oggettiva del diverso, sarà deluso. Addirittura il filosofo Immanuel Kant constatava nel suo libro "Geografia fisica" (citazione): "Nei paesi caldi l'uomo matura un po' prima, ma non raggiunge la perfezione delle zone temperate. L'umanità è nella sua più grande perfezione nella razza dei bianchi. Gli indiani gialli hanno un talento minore. I negri sono a un livello di gran lunga più basso e al posto più basso si trova una parte dei popoli americani."

Anche Hegel fa parte di questo modo di pensare. Fissa il "tertium comparationes" esclusivamente nella tradizione europea. Per lui (citazione) "il mondo è circumnavigato e per gli europei il mondo è una cosa rotonda. Ciò che non è ancora dominato da loro o non vale la pena di esserlo o è destinato ad essere dominato."

Il modo di vedere il mondo di Hegel diventò un esempio da seguire per molti europei. E così anche Albert Schweitzer, che viene celebrato come uomo tollerante e umano, considerava l'islam e il giudaismo (citazione) "religioni statiche e morenti".

Anche Voltaire, l'apostolo della tolleranza, ha scritto passaggi interi sul popolo ebreo, che potrebbero ornare, come pezzi di rara brillantezza, un libro di testo scolastico antigiudaico. Voltaire chiama gli ebrei "gentaglia, marmaglia" e stigmatizza Maometto come "criminale".

L'idea grandiosa della tolleranza europea era purtroppo, de facto, selettiva. Fenomeni intolleranti come colonialismo, imperialismo e espansionismo esistevano già e continuavano a esistere in tempi in cui l'idea della tolleranza veniva propagata e in parte addirittura praticata in Europa.

3.3. In quale rapporto stanno l'idea del diverso nella storia e nel presente?

La storiografia unilaterale del mondo occidentale non si limita soltanto a discorsi accademici ma essa ha influenzato l'opinione pubblica quasi al 100%.

Nei mass media si fingono spesso delle storie che rappresentano una realtà politica, queste storie hanno lo scopo di far credere che quella realtà politica sia vera. Eccitano gli umori con storie sensazionali come "Saddam e il pericolo atomico per noi" oppure dipingendo il presidente iraniano Ahmadineschad come "L'uomo più pericoloso del mondo". Così fermentano il terreno per una disposizione, al rifiuto di ciò che viene chiamato "il totalmente diverso". In scenari di tipo sensazionale, in gran parte messi in scena, si riflette una comprensione distorta del diverso che va di pari passo con la comprensione storica. Questo si vedeva in modo molto chiaro quando siamo stati preparati mentalmente alla guerra dell'Iraq che, come si voleva far credere, rappresentava un pericolo atomico, che in realtà invece non era.

Anche molti uomini di stato e molti scienziati del nostro presente sono abituati a fare discorsi xenofobi. Il premier italiano Silvio Berlusconi l'ha evidenziato recentemente: (citazione) "Dobbiamo essere coscienti della superiorità della nostra civiltà, che consiste di principi e di valori che hanno portato un benessere a larga scala per la collettività. L'occidente continuerà a conquistare popoli così come è riuscito a conquistare il mondo comunista e una parte del mondo islamico, ma un'altra parte è rimasta indietro di 1400 anni."

Si può dire che Berlusconi ha ragione in teoria. E non vorrei assolutamente minimizzare quali crimini sono stati commessi e continuano ad essere commessi nel nome dell'islam. Ma è stato il mondo civilizzato ad aver ammazzato 6 milioni di ebrei nelle camere a gas o bruciandoli, che ha mutilato o contaminato milioni di vietnamiti con il napalm, che ha lanciato le prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che ha fatto il putsch in Cile mandando decine di migliaia di persone alla morte e che ha imposto il sistema dell'apartheid alla popolazione indigena in Sud Africa. Era il mondo civilizzato che ha eretto in quasi tutti i paesi in via di sviluppo delle dittature fornendo loro anche le armi. E' ben noto che Saddam Hussein, i talebani, Osama Bin Laden ed altri criminali del genere sono stati allevati con cura dall'occidente.

Questi atti non testimoniano umanità, tolleranza e diritti umani. Nonostante ciò l'europeizzazione del mondo è finora l'elemento costitutivo di queste argomentazioni unilaterali. Huntington, partendo da una "lotta delle culture", vede in modo chiaro come stanno le cose, (citazione) "L'occidente ha conquistato il mondo non attraverso la superiorità delle sue idee o dei suoi valori o della sua religione, ma piuttosto tramite la sua superiorità nell'applicazione di violenza organizzata. Gli occidentali spesso dimenticano questo fatto; i non-occidentali non lo dimenticano mai."

Gli esempi dati fanno vedere come la storiografia e la corrispondenza giornalistica sono unilaterali e che ci vorrebbe una nuova storiografia e un nuovo modo di raccontare le notizie nei mass media. Se vogliamo affrontare questa sfida, è anche da valutare fino a che punto orientamenti di pensiero, nuovi ed interculturali, ci possano portare avanti.

4. Proposte per un cambiamento delle condizioni descritte

In seguito vorrei fare alcune proposte, su base interculturale, come possiamo cambiare le condizioni. Alla base di ogni argomentazione sta la rinuncia della pretesa di possedere la verità assoluta in ogni campo. Inoltre va evitata una pericolosa strettezza, ma anche un'ampiezza non vincolante nella definizione e nella pratica della tolleranza, per rendere possibile una comunicazione fra le culture e le religioni.

5. Cosa significa intercultura?

Intercultura è un'attitudine che implica di aver capito e di essere pronti ad accettare che si possano percorrere strade diverse. La piena parità delle strade diverse percorribili si capisce dal fatto che singoli popoli e culture pongono essenzialmente le stesse domande per quanto riguarda la vita. Solo che le loro risposte sono differenti. Ma anche nelle risposte si trovano molte cose in comuni.

Applicare l'intercultura è di importanza centrale in teoria e in pratica. Fa parte di essa la cura della parità e del dialogo nonché una attitudine di rifiuto verso una forma totalitaria di teocrazia e tecnocrazia. L'intercultura, quindi, rinuncia a strade esclusive di salvezza e alla pretesa della validità assoluta di un ordine. L'intercultura cerca una maggiore pienezza dell'esistenza nella moltitudine degli ordini.

Pensare alla purezza totale di una cultura, di una religione o di una filosofia, è una finzione, un mito. Anche se le culture posseggono un loro mondo di vita che crea una coerenza interiore, non sono sfere che si scontrano. Le culture sono piuttosto come fili di un tessuto che sono legati fra di loro con grande varietà e molteplicità. Questo emerge in modo molto chiaro guardando l'universalità dei diritti dell'uomo e dei doveri dell'uomo. La concettualizzazione generale dei diritti dell'uomo spesso viene scambiata con la loro sedimentazione europea.

L'obiettivo di un orientamento interculturale è di provocare un cambiamento dei paradigmi e un ampliamento delle prospettive nel modo di pensare e di agire dell'individuo e della società. Il suo obiettivo è spianare la strada verso una "ragione comunicativa" che faccia vedere i suoi frutti in tutte le argomentazioni.

6. Cos'è la tolleranza, cosa la rende urgente e cosa la rende difficile?

L'intercultura richiede la tolleranza, richiede una tolleranza particolare che nella storia si incontra raramente.

Tolleranza tradizionale, ossia anche formale, non tocca altre religioni o culture. Li tollera per ragioni di stato finché non viene disturbata la pace. Così si limita ad agire per motivi strategici. Nei tentativi attuali di tolleranza e di dialogo spesso viene coltivata soltanto questa tolleranza tradizionale. In questa forma tolleranza significa, quindi, indifferentismo o la rinuncia alla propria tradizione e ai valori connessi ad essa.

Tolleranza interculturale applicata significa, invece, non solo non toccare religioni diverse e culture diverse. Significa il riconoscimento positivo di queste religioni diverse e culture diverse in quanto implicano la possibilità vera e legittima di un altra strada. E' diversa dalle idee di tolleranza finora conosciute in quanto vuole convincere il singolo a percepire, per libera scelta, altre strade percorribili che possano anch'esse contribuire alla pace. Quindi: riconoscimento della tradizione senza rinuncia alla propria tradizione. Serve all'intesa e al vero dialogo completo. Tolleranza applicata presuppone la capacità di immedesimazione e richiede sensibilità.

6.1. Problemi con la storia della tolleranza

Quando ci occupiamo della storia della tolleranza ci rendiamo conto che l'idea di tolleranza riceve spinte particolari in tempi intolleranti. L'idea di tolleranza conosce purtroppo una solo storiografia, cioè quella occidentale che la definisce e discute. Ma l'idea di tolleranza che corrode le pretese totalitarie di tipo politico-religioso o anche culturale è, sui generis, universale. Intendere la tolleranza in modo essenziale o dichiararla rilevante solo in determinate condizioni sta in contraddizione con l'idea stessa della tolleranza.

Qui si intravede una prospettiva centro-periferica che definisce tutto partendo da un solo punto di vista. Non dobbiamo meravigliarci se la tolleranza diventa repressiva e il dialogo imperativo. La praticabilità di tolleranza è in stretta relazione con la questione del potere. In caso di una distribuzione del potere non uniforme, l'armonizzazione dell'incontro di culture diverse è un compito difficile. Il concetto della tolleranza deve essere spogliato da ogni forma di centrismo e va posto in un contesto interculturale.

Inoltre si pone la domanda quali meriti abbia acquisito la scienza nell'ambito della tolleranza e del dialogo. Certo, esiste una serie di pubblicazioni nell'ambito dell'etica, della teologia, della filosofia politica e di altre discipline che riguardano tolleranza e dialogo, ma queste pubblicazioni non sono esaurienti.

Il dialogo fra culture rappresenta un caso complesso e particolare di dialoghi sotto particolari condizioni marginali. Comunicazione interculturale è il risultato di una riflessione su un livello più alto. Qui influiscono fattori differenti come fattori socializzanti, religiosi o culturali.

7. Quali sono le dimensioni del dialogo?

Un dialogo completo è possibile quando si basa su un atteggiamento di tolleranza applicata. Libertà e parità comunicativa sono altre basi cognitive per un dialogo costruttivo. Tutti i partner devono essere ben disposti ad essere confrontati con oggetti inaspettati che potrebbero anche innalzarsi contro il proprio modo di vedere il mondo. Si tratta di uno scambio di esperienze, e di andare uno verso l'altro. Questa riflessione, che presuppone la comprensione di se stesso e dell'altro, deve avvenire di libera scelta, se il dialogo vuole portare ad un compromesso. Il risultato ideale non è la vittoria del singolo, ma la soluzione del conflitto che era nato e la riconciliazione delle parti.

Ma se una parte è decisa a perseguire il proprio punto di vista a qualsiasi costo, come oggi in Iraq, all'altra parte rimane solo la scelta fra resistenza o sottomissione. Per le strutture etnocentristiche, nazionalisti o razzisti, il paternalismo rappresenta una categoria su cui basarsi in caso di determinate condizioni personali e sociali.

Difficoltà interculturali nascono anche perché non esistono quasi mai conoscenze minime riguardanti altre culture. Inoltre se la posizione di base è di rifiutare, a priori, l'opinione dell'altro, ogni dialogo è destinato a fallire.

Nell'ambito dei diritti umani vale ciò che la democrazia occidentale riconosce come valore. I dialoghi si considerano fruttuosi se seguono il dettato europeo o us-americano. Se non viene assunto un atteggiamento richiesto, i popoli economicamente e militarmente inferiori devono aspettarsi sanzioni dure. Qui emerge l'ambiguità della democrazia: considera la tolleranza e i diritti umani come valori vincolanti, ma prima della giustizia viene il primato degli interessi. Questo problema non è nuovo.

La ermeneutica (arte di interpretare il senso di testi e documenti) del potere è stata sempre piena di problemi, ma oggi gioca un ruolo determinante per il destino della società mondiale. Non solo rappresenta un guardarsi nello specchio in modo narcisistico e orientati alla violenza, ma estromette completamente l'altro, cerca nell'altro soltanto ciò che conosce di se stesso e tende ad assorbirlo. Così la diversità si sente attaccata e oppressa nella sua sostanza, il che comporta spesso l'accettazione della violenza. Osserviamo lo stesso processo identico in questo momento nel conflitto con l'Iran per il nucleare.

Il motivo per cui si creano tali conflitti è evidente: la ermeneutica del potere agisce in base a una "doppia antropologia": una antropologia di primo ordine ossia la propria e una antropologia di secondo ordine ossia quella dell'altro. L'antropologia di primo ordine determina ciò che devono fare gli altri e ciò che non devono fare ed ha sempre lo scopo di un controllo paternalistico, anche quando paradossalmente c'è il rischio di danneggiare se stessa. In questo caso si tratta di una antropologia particolare che si autoassolutizza e che ha sempre rappresentato un problema nella politica pratica. Il potente definisce non solo la comprensione, ma dichiara vincolanti per tutti anche le regole di agire celate sotto la veste della morale.

Bisogna lottare contro il protezionismo su due fronti contemporaneamente: Da una parte la radicalità del tradizionalismo e dall'altra parte il fondamentalismo della modernità. La soluzione si trova, de facto, in mezzo.

Un incontro orientato al dialogo dovrebbe quindi percepire modelli della cultura diversa senza volerli cambiare nella sostanza. Una costante valutazione negativa è causa di emozioni violente.

Chi discute e pensa di condurre dialoghi, pratica solo un dialogo pragmatico. Chi in questo contesto parla di tolleranza, pratica solo tolleranza pragmatica. La tolleranza pragmatica è un'idea che è collegata ad una opinione assolutizzata. I suoi rappresentanti continuano ad insistere sulla loro infallibilità e sulla falsità degli altri.

Tolleranza pragmatica e dialogo pragmatico sono gli eredi di una ermeneutica bivalente riduttiva che si basa esclusivamente su una auto-ermeneutica. Tolleranza applicata, invece, è legata ad una ermeneutica aperta che dà la possibilità di comprendere il centro della vita di altre culture.

8. Quali sono le dimensioni della ermeneutica?

Come abbiamo visto da Kant o da Hegel, la forma tradizionale della ermeneutica era limitata a due dimensioni:

Ricerche interculturali sulla ermeneutica e il dialogo delle culture fanno vedere che metodi di comprensione che sono così riduttivi implicano violenza perché non permettono all'altro di esprimersi come entità autonoma. L'ermeneutica riduttiva si basa su procedure centristiche e di gerarchie fra le culture. Si distingue fra una discorso "noi ..." e un discorso "voi ...". Una filosofia nella tradizione di Hegel, che è attualissima sul piano della politica di questo momento, possiede una ermeneutica della teoria dei passi che pone limiti e rimuove limiti.

Da circa 30 anni l'ermeneutica tradizionale è stata ampliata con la nascita della "ermeneutica interculturale". La ermeneutica interculturale chiede:

In sintesi discorsi interculturali presuppongono, quindi: essere, pensare e agire in modo dialogico. Ciò non può rinunciare:

Il risultato del processo descritto libera la strada verso un dialogo interculturale o completo. Chi parla deve sviluppare la capacità di immedesimarsi nell'altro, di sviluppare quindi una vera empatia, con lo scopo di capire ciò che vuole l'altro. Questo implica di mettere in discussione la propria prospettiva, e viceversa.

Comprensione sul piano interculturale e intraculturale non è una strada a senso unico. Questo può essere illustrato con l'esempio di quei disegni che, a seconda da quale lato si osservano, cambiano aspetto:ce né uno famoso che, visto dalla sinistra sembra una foca, visto dalla destra sembra invece la testa di un asino.

Ammesso che ci fosse una cultura nella quale le foche sono all'ordine dei giorni, ma dove non esistono asini. In un'altra cultura invece sono molto comuni gli asini ma non ci sono foche. Ogni cultura vedrà soltanto l'animale che conosce. Ogni gruppo ha ragione con il modo di interpretare il disegno, ma la correttezza della propria affermazione non significa necessariamente la falsità della interpretazione da parte dell'altro. L'immagine sarà vista sempre esclusivamente nel modo in cui chi la osserva è pre-programmato.

Questo esempio vuole spiegare che ciò che viene identificato per corretto da un gruppo, non è necessariamente l'unica interpretazione possibile e l'unica logica di vedere un fenomeno. Per spianare la strada verso il dialogo, dovremmo sostituire il nostro modo di vedere le cose con una comprensione multi-prospettiva.

In questo contesto dobbiamo partire da una "ermeneutica analogica" che viene espressa dai concetti del "voler capire" e del "voler essere capiti". Da questi due concetti risulta una sintesi nella quale auto-ermeneutica ed ermeneutica del diverso e anche autocritica e critica del diverso sono neutralizzate una nell'altra. Così due estremi vengono respinti: la identità totale, che è ostile al dialogo, e la differenza completa, che mette in pericolo il dialogo nella sua fase iniziale.

Questo passo, dialettico e aperto, supera la ermeneutica riduttiva. Così la tolleranza pragmatica diventa tolleranza applicata, e il dialogo pragmatico diventa dialogo completo.

Un dialogo interculturale aperto non vuole né la differenza né l'identità. Mira al paradigma del riconoscimento, vede la realtà di conflitti interculturali, sottolinea la differenza e l'identità in modo parallelo, conosce il dissenso e cerca il compromesso.

Risultati di ricerche su altre culture sono validi solo quando queste culture acconsentono. Un giudizio su una cultura implica un giudizio su chi appartiene a questa cultura. Personalmente non mi dichiaro favorevole ad un discorso senza potere che non è realistico, ma vorrei soltanto il compromesso come risultato di un dialogo che rappresenta una strada percorribile. Non si potranno mai eliminare completamente i conflitti intraculturali e interculturali.

Deve essere possibile spiegare che siamo culturalmente pre-programmati e perciò non dobbiamo vedere e valutare ciò che è diverso dal punto di vista personale. Questo è importante per far partire, semmai, un cambiamento nel modo proprio di vedere le cose. Quattro passi contribuiscono al pensiero comunicativo e all'azione comunicativa:

9. Il rapporto fra tolleranza e dialogo

Già Goethe aveva constatato che non bisogna fermarsi alla tolleranza. La tolleranza deve portare al "riconoscimento". Il ponte fra tolleranza e "riconoscimento è il dialogo.

Una pace seria fra le culture e le religioni da una parte e un pluralismo vero dall'altra parte sono difficili da immaginare senza questo ciclo ermeneutico in questo nostro mondo dove tutto e tutti sono collegati in reti molteplici. Oltre le due finzioni del consenso totale e del dissenso completo la convivenza delle culture si nutre della capacità comunicativa, della disponibilità di comprendere e della capacità di giungere a compromessi. Per vari motivi, le culture, le religioni e i modi di vedere il mondo della politica hanno parti che si sovrappongono sempre.

La capacità comunicativa è tuttavia legata a condizioni che dipendono non solo dalla buona volontà di chi è coinvolto ma anche da fattori strutturali e presupposti. Percepire, pensare, capire e comunicare sono influenzati da modelli e possibilità dei quali dispone l'uomo in seguito alla sua socializzazione, ma anche in seguito a predisposizioni individuali.

Questo modello parte dall'azione comunicativa e può funzionare solo se ci sono alcune condizioni quadro adeguate. Deve essere chiaro chi comunica, con chi, di che cosa e con quale intenzione. Inoltre è da presupporre la volontà di volere comunicare. E neanche la buona volontà basta da sola, ci vuole anche la ricerca e l'accettazione delle condizioni strutturali per un dialogo fruttuoso e della riuscita della comunicazione interculturale. Intercultura ben intesa e umanità possono essere di aiuto finché non vengono ideologizzate e strumentalizzate.

10. Dove sono i limiti della tolleranza?

La tolleranza ha limiti e comprende la disponibilità di difenderli in modo deciso. Tuttavia è una domanda difficile dove finisce la tolleranza e come si possono definire i limiti. Esiste una possibilità di giustificare questi limiti nei confronti di chi sta con i suoi argomenti al di fuori di questo limite? Quali forme di disputare un conflitto e di lottare contro l'intolleranza sono moralmente sostenibili, e quali no? Com'è fatto questo limite morale, religioso e politico della tolleranza quando confrontiamo le culture e le religioni? Quale ruolo giocano il potere e la detenzione del potere?

Bisogna porre i limiti della tolleranza in un contesto interculturale e interreligioso e analizzarli sotto il profilo socioculturale etnologico. Significa in pratica che dobbiamo conoscere molto bene il modo di vedere il mondo e di vedere gli uomini che altri popoli hanno, il condizionamento storico delle loro usanze e le loro pratiche religiose. Proprio la questione del potere ci fornisce il motivo perché le religioni hanno un rapporto che è fondamentalmente ambivalente nei confronti della violenza e della non-violenza e perché sono influenzate fortemente non solo dalle sacre scritture ma anche dalle loro tradizioni che spesso stanno in contraddizione ai testi sacri.

Una determinazione a priori dei limiti della tolleranza, che deve possedere una validità assoluta per tutti i tempi e per tutte le zone, presupporrebbe una uniformità delle azioni umane, un modo universalistico di vedere gli uomini, un'etica universalistica nonché una uguaglianza delle condizioni naturali, socio-strutturali, politiche e economiche.

La determinazione dei limiti della tolleranza è un processo con molte dimensioni. E' legittima la domanda se dietro domande di tolleranza nate tutto d'un tratto si nascondano conflitti di distribuzione, che - come nella guerra in Iraq - vengono etnizzati per renderli irriconoscibili e non più analizzabili.

E' anche importante prestare attenzione in quali condizioni sociali empiriche le domande di tolleranza acquisiscono un valore. Pensiamo per esempio al fazzoletto sulla testa nelle scuole francesi e tedesche, la pratica della circoncisione delle donne ecc.

Una tolleranza che porta al riconoscimento è pratica se un ateista ha il diritto di essere ateista così come un fedele ha il diritto alla sua fede. Un dialogo che si basa sulla tolleranza tocca i suoi limiti quando qualcuno si dà da fare per costringere l'altro ad accettare la propria convinzione.

Un esempio nel campo della politica è il lavoro delle Nazioni Unite e del Consiglio per la Sicurezza Mondiale. Queste commissioni decidono quando sussiste la minaccia che uno stato non rispetta gli interessi di un altro stato e quando questo comportamento non può essere tollerato. Contrario alla realizzazione di un tale discorso è tuttavia il fatto che i membri del Consiglio per la Sicurezza Mondiale possono esercitare il diritto di veto e quindi possono agire sempre in modo strategico, come dimostra la guerra in Iraq, il conflitto con l'Iran per il nucleare e la posizione di stati non occidentali in queste commissioni.

11. Conclusione

Non si può non vedere che, tenendo conto dei limiti nell'azione pratica, possiamo sviluppare strutture interculturali applicabili e realizzabili nella complessa prassi interculturale. Però ogni dialogo fra le culture e religioni è destinato a fallire se la predominanza dell'economia e del potere vuole dettare tutto.

Sono dell'opinione che non ci saranno mai punti di partenza sicuri e mai problemi risolti in modo definitivo. Un cammino conoscitivo sembra immancabilmente un continuo oscillare fra le parti e il tutto, che si illuminano l'un l'altro. Se il dialogo non vuole perdere la sua rilevanza, deve essere interculturale in tutte le sue dimensioni.

Manifestazioni
indietro 
 
Copyright: 2006 Marion Weerning   
Ultima revisione: 29.1.2006   
URL: www.lysia.com/icit